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Risorgimento



Giacinto Gigante PDF Stampa E-mail

Giacinto Gigante (1806-1876).

Con il termine «Scuola di Posillipo» si intende una corrente pittorica che si sviluppò a Napoli tra il 1820 e il 1850. La corrente nacque dalla presenza a Napoli, a partire dal 1815, di un pittore di origine olandese: Antonio Pitloo (1791-1837). La pittura di paesaggio era una tradizione che a Napoli risaliva già alla metà del Seicento con Salvator Rosa. Per tutto il Settecento, la pittura di paesaggio era stata orientata a due filoni principali: il gusto dello scenografico e il gusto del vedutismo turistico. Protagonista del primo filone fu soprattutto Filippo Hackert, con quadri dal taglio orizzontale e ampio sviluppo grandangolare. Del secondo filone ricordiamo in particolare Paolo Fabris che probabilmente introdusse a Napoli la tecnica della gouache, caratteristica di una grandissima parte della produzione partenopea. I piccoli paesaggi realizzati a gouaches erano indirizzati al mercato dei turisti che, nel Settecento, avevano a Napoli una tappa obbligata del loro Grand Tour italiano per ammirarvi il Vesuvio, gli scavi di Pompei e di Ercolano, le isole del golfo.

La novità introdotta da Pitloo, nella tradizione locale della pittura di paesaggio, consistette soprattutto nel disegno dal vero e nella resa impressionistica degli effetti di luce e di colore. La sua fu una ricerca che lo accomunò ad un altro grande pittore paesaggista di quel tempo: Camille Corot che, con la scuola di Barbizon, stava sperimentando per la prima volta la tecnica dell’en plain air. È da ricordare che l’ambiente napoletano era a conoscenza della pittura di paesaggio europea, anche perché i protagonisti di queste ricerche, come Corot, Constable, Turner, visitarono anche loro l’Italia facendovi conoscere le loro novità tecniche.

Dopo il 1837, anno di morte del Pitloo, il protagonista indiscusso della scuola di Posillipo divenne Giacinto Gigante (1806-1876). Figlio di un altro pittore, Gaetano, il Gigante portò a livelli eccelsi la sensazione pittoresca dei suoi paesaggi e delle sue vedute, dove prevale sempre il sentimento di intimismo lirico. Gli angoli visivi non sono mai ampi, ma ristretti a piccoli spazi visti con taglio quasi fotografico. La sensazione intima è data dalla quotidianeità quasi banale delle cose raffigurate che però si trasfigurano in una visione calma e quasi malinconica della realtà.

La scuola di Posillipo esaurì la sua maggior vitalità tra il 1850 e il 1860, quando le nuove tendenze naturalistiche, che a Napoli furono introdotte soprattutto dai fratelli Palizzi, resero inattuali la liricità così forte e così romantica dei pittori di questa scuola. Tra i protagonisti minori di questa scuola è da ricordare Achille Vianelli che dal 1848 al 1894, anno della sua morte, ha vissuto ed operato a Benevento. La sua pittura, di un vedutismo più fotografico e meno lirico rispetto a quella di Gigante, rimane come interessante documento iconografico per scoprire l’aspetto ottocentesco di luoghi ancora esistenti o scomparsi.

 

La tangenziale di Ferdinando II PDF Stampa E-mail

La tangenziale di Ferdinando II

 

Nel 1853 il re borbone Ferdinando II realizzava la prima tangenziale al mondo: un’arteria di cinque chilometri, che, superando delicati problemi orografici, metteva in collegamento la parte occidentale della città con la parte orientale, permettendo l’urbanizzazione di vaste aree.

 

L’opera fu apprezzata in tutta Europa per le soluzioni tecniche e la velocità di esecuzione. I Napoletani cavallerescamente vollero dedicarla alla regina Maria Teresa, ma il toponimo ebbe breve durata, perché subito dopo l’unità d’Italia, i Savoia decisero che un nuovo nome: corso Vittorio Emanuele, dovesse ricordare il loro re conquistatore dell’antico regno, anche se la strada era stata realizzata da un altro sovrano.

 

Questa appropriazione indebita è passata sotto silenzio per 150 anni, ma è giunto il momento per fare giustizia di questi soprusi del passato, grazie al certosino lavoro di coraggiosi storici che, lentamente, ci stanno insegnando a rivalutare la nostra storia gloriosa.

Un invito al nostro sindaco a voler dedicare questa strada a chi l’ha ideata e realizzata nell’interesse della sua amata città: Ferdinando II.

'O SULDATO 'E GAETA- di Ferdinando Russo PDF Stampa E-mail

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La tragica giornata a Pietrarsa PDF Stampa E-mail
di Giuseppe Ressa,
La tragica giornata a Pietrarsa
Le maestranze avevano eretto, nel 1852, con il materiale di costruzione delle locomotive, una statua all’amatissimo Re Ferdinando II, dopo l’unità si cominciò a respirare un’aria diversa; scrive “ Il Popolo d’Italia “ del 7 agosto 1863: “ Il fatto dolorosissimo avvenuto nell’officina di Pietrarsa, nelle vicinanze di Portici, ha prodotto su tutti indistintamente la più funesta e penosa impressione. Col’animo affranto e commossi profondamente ne diamo qui appresso i particolari, che possiamo ritenere esatti. Un tal Jacopo Bozza, uomo di dubbia fama, ex impiegato del Borbone, già proprietario e direttore del giornale “ La Patria”, vendutosi anima e corpo all’attuale governo, aveva avuto in compenso da questo governo moralizzatore la concessione di Pietrarsa. Costui, divenuto direttore di questo ricco opificio, che è il più bello e il più grande d’Italia, avea per lurido spirito d’avarizia accresciuto agli operai un’ora di lavoro al giorno, cioè undici ore da dieci che erano prima; ad altri licenziamento, comunque nel contratto d’appalto c’era l’obbligo di conservare tutti ...Gli operai cos’detta battimazza, che avevan prima 32 grana di paga al giorno eran stati ridotti a 30 grana; e questi, dopo aver invano reclamato su tale torto, ieri annunziarono al Bozza ahìessi erano decisi piuttosto ad andar via anzichè tollerare la ingiustizia, però domandarongli il certificato di ben servito. Pare che il Bozza non solo abbia negato il certificato, ma abbia risposto con un certo Ordine del giorno ingiurioso à poveri operai. Allora ci fu che uno di questi suonò una campana dell'opificio, verso le 3 p. m., ed a tale segnale tutti gli operai, in numero di seicento e più, lasciarono di lavorare ammutinandosi, e raccoltisi insieme gridarono abbasso Bozza ed altre simili parole di sdegno. Il Bozza, impaurito a tale scoppio si die alla fuga; fuggendo precipitosamente, cadde tre volte di seguito per terra; indi si recò personalmente, o mandò un suo fido, com'altri dice, a chiamare i bersaglieri che erano di guarnigione in Portici, perché accorressero a ristabilire l'ordine in Pietrarsa, non sappiamo in che modo narrando l'avvenimento al comandante.
E così accorse un maggiore con una compagnia di bersaglieri. Nel frattempo un capitano piemontese, addetto a dirigere i lavori dell'opificio, uomo onesto e amato dagli operai, mantenne questi in quiete, aspettando che arrivasse qualche autorità di Pubblica Sicurezza o la Guardia Nazionale per esporre le loro ragioni. Ma ecco che invece giunsero i bersaglieri con le baionette in canna: gli operai stessi che erano tutti inermi aprirono il cancello, ed i soldati con impeto inqualificabile si slanciarono su di essi sparando i fucili e tirando colpi di baionetta alla cieca, trattandoli da briganti e non da cittadini italiani, qual erano quegli infelici! Il capitano che dirigeva i lavori, e del quale abbiamo accennato più sopra, si fece innanzi con kepi in-mano, e gridando a nome del Re fece cessare l'ira della soldatesca. Tralasciamo i commenti su questo orribile fatto. Fu una scena di sangue, che amareggerà l'anima di ogni italiano, che farà meravigliare gli stranieri e gioire i nemici interni. Cinque operai rimasero morti sul terreno, per quanto si asserisce: altri che gettaronsi a mare, cercando di salvarsi a nuoto, ebbero delle fucilate nell'acqua, e due restarono cadaveri. I feriti sono in tutto circa venti: sette feriti gravemente furono trasportati all'Ospedale dè Pellegrini, altri andarono nelle proprie case.”
LEGA NORD E RISORGIMENTO PDF Stampa E-mail

Il dott. arch. Gilberto Oneto, uno dei più importanti ideologi della Lega Nord, ha pubblicato una sua riflessione sul Risorgimento e su Garibaldi che sembra scritta da un neoborbonico. La retorica storiografica sul periodo dell’unità italiana ormai fa acqua da tutte le parti e solo i più ottusi e mercenari tra gli intellettuali perseverano nella versione di menzogne forgiata da Benedetto Croce & C. a fine Ottocento. Sarebbe necessario far girare lo scritto in tutti i consigli comunali, specialmente del Sud, per suscitare finalmente il coraggio di incominciare l’iconoclastia dei monumenti e della toponomastica risorgimentale!

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